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Immagine del redattoreSalvatore Cirilla

Mobbing quale reato?

Quali sono le conseguenze penali degli atteggiamenti persecutori tenuti nei confronti della vittima?


Quando si parla di mobbing, il pensiero va sempre all’ambito lavorativo, e alle condotte vessatorie tenuta da un collega, da un gruppo di colleghi o, peggio, dal datore di lavoro. Tuttavia, nel tempo, il significato di questo fenomeno è stato allargato ad altri ambiti seppur con terminologie differenti: famiglia, forze armate, scuola. Ma esistono delle conseguenze penali per l’autore di queste persecuzioni? Una volta approfondito questo fenomeno, analizzeremo le pronunce giurisprudenziali che hanno risposto al quesito: mobbing quale reato? Ci soffermeremo non solo sul classico caso del mobbing aziendale, ma andremo ad analizzare tante altre situazioni, fino a toccare anche l’ambito familiare, al fine di capire se la fattispecie di reato cambia al mutare dei casi.


4.2 Stalking


Il mobbing

Con questo termine si intende la condotta ostile di una persona, mirata a mortificare e isolare la vittima. Questa condotta deve essere ripetuta nel tempo, con i caratteri della persecuzione della vittima.


L’atteggiamento si sostanzia in una violenza psicologica, anche se non mancano i casi in cui la condotta sfocia in un’aggressione fisica.


Questo fenomeno viene coniato per indicare le condotte tenute in ambito lavorativo. Il fine è quello di denigrare l’identità del lavoratore e la sua dignità professionale, costringendo il dipendente a prendere scelte alle volte drastiche, come le dimissioni dal lavoro.


Questo fenomeno può estendersi, con le stesse peculiarità, in altri ambiti, come quello scolastico (il bullismo), o quello militare (nonnismo).


Solitamente, in ambito lavorativo, il tutto prende vita da una reazione di un individuo, o di un gruppo, nei confronti di un membro dello stesso reparto, verso chi presenta incompatibilità caratteriali, o non si adatta alle situazioni ed è, pertanto, fastidioso per la vita lavorativa della maggioranza.


La condotta può essere molesta e vessatoria, anche in presenza di atti di per sé legittimi. Il passaggio dal lecito all’illecito si ha quando le diverse condotte, alcune o tutte di per sé legittime, si ricompongono in un disegno criminoso finalizzato a destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore.


Tipologie mobbing lavorativo

Il mobbing lavorativo può manifestarsi in due modi, verticalmente, oppure orizzontalmente, a seconda del rapporto che l’autore della condotta ha con la vittima.


Nel mobbing verticale, detto anche bossing, l’autore ha un’autorità sulla vittima: il datore di lavoro o, semplicemente, il superiore gerarchico. Qui, lo spessore emotivo della persecuzione risiede nel semplice rapporto tra autore della condotta e vittima, in quanto la posizione apicale del primo rende, spesso, gli atti illegittimi difficilmente distinguibili da quelli legittimi.


Nel mobbing orizzontale, le condotte si consumano tra lavoratori di pari rango, tra colleghi di stanza, anche se può capitare che gli atti persecutori possano essere intentati da un gruppo di colleghi nei confronti di una persona, per incompatibilità caratteriali o episodi che hanno creato stress e tensione all’interno dell’ambiente lavorativo.


Conseguenze civili

Il mobbing può causare sia un danno patrimoniale, che biologico, al lavoratore, sotto forma di danno morale, che esistenziale, risarcibili in sede civile, anche se l’illecito non costituisce reato.


Infatti, provocare ansia e stress nel dipendente con comportamenti ingiuriosi e minacciosi è una forma di mobbing che, come tale, va risarcita indipendentemente dalla responsabilità penale per i reati commessi [1].


In questi casi, la vittima del mobbing subisce ripercussioni nella sua sfera emozionale, causando un perturbamento d’animo che può sfociare in una vera e propria malattia psichica.

Inoltre, in caso di mobbing finalizzato al mutamento della mansione, si è ritenuto che la tutela civile debba essere estesa anche al ripristino della situazione originaria, mediante la reintegrazione nella precedente posizione di lavoro.


Non sempre, tuttavia, l’evento persecutorio, o potenzialmente persecutorio, può far scaturire un risarcimento per il lavoratore, in quanto occorre verificare l’illegittimità degli atti lamentati. In un caso, riguardante la Guardia di Finanza, la giurisprudenza [2] ha negato il risarcimento richiesto da un brigadiere che, in seguito a denuncia e al conseguente procedimento penale concernente il reato di corruzione volto alla distruzione di documenti, era stato trasferito, anche in considerazione dei rapporti non sereni nell’ambiente di lavoro, in altro reparto.


Conseguenze penali

Non esiste nel Codice penale una espressa norma incriminatrice che sanzioni il mobbing. Così, il lavoro di individuazione della figura di reato più vicina a questo fenomeno è stato lasciato, come sempre, alla magistratura.


Maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità

Secondo la Cassazione [3], quello che maggiormente si avvicina ai connotati caratterizzanti il mobbing è il reato dei maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione [4].


Per la punibilità deve essere verificata la serie complessiva degli episodi lesivi contestati, in ordine alla loro periodicità e durata dell’azione e nel tempo, le caratteristiche della persecuzione e della discriminazione.


Tuttavia, questo tipo di reato si adatta ad inquadrare il fenomeno, limitatamente ai casi in cui le vessazioni provengano dall’alto, non essendo, invece, idonea, la norma predetta, a descrivere i casi di mobbing orizzontale, posto in essere da colleghi.


Stalking

La giurisprudenza, da ultimo [5], ha inteso inquadrare il fenomeno nella fattispecie di reato dello stalking, vista la natura persecutoria della condotta che si protrae nel tempo, finalizzata all’emarginazione del lavoratore.


Affinchè si possa configurare questo tipo di reato, occorrerà non solo dimostrare il grave e perdurante stato di ansia e di paura, ma anche il fatto che questo stato d’animo abbia costretto il lavoratore ad abbandonare il luogo di lavoro per cercare sistemazione altrove.


Violenza privata

In taluni casi, l’autore della condotta è stato condannato per il delitto di violenza privata, laddove si è provata l’esistenza di minacce rivolte a numerosi lavoratori, con le quali si prospettava il trasferimento in un luogo fatiscente se non avessero rinunciato ad una causa di lavoro intrapresa.


Infatti, minacciare il proprio dipendente, avvertendolo del fatto che subirà modifiche a lui sfavorevoli del rapporto di lavoro, può senz’altro configurare quest’altra fattispecie di reato, consumando tutti i requisiti richiesti dal Codice penale.


Abuso d’ufficio

Se le condotte vessatorie finora discusse sono poste in essere nel pubblico impiego, si ritiene che la condotta del dirigente amministrativo integri gli estremi dell’abuso di ufficio.


Ad esempio, è stato considerato abuso di ufficio il comportamento del sindaco che, al solo scopo di allontanare, anche fisicamente, un dirigente che si caratterizzi per indipendenza ed autonomia decisionale rispetto all’indirizzo politico, creano un apposito ufficio cui adibire il funzionario scomodo, senza con ciò mirare al raggiungimento di un fine pubblico, venendo anzi conseguito l’esatto contrario [6].


Maltrattamenti in famiglia

Il mobbing può anche configurarsi tra parenti, laddove l’azienda sia gestita a conduzione familiare. In questo caso, le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia [7].


Per la configurazione di questo reato, è necessario che ci sia una relazione familiare tra il datore di lavoro e il dipendente; relazione caratterizzata da legami intensi ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione, o dalla fiducia, di una parte nei confronti dell’altra.


Reati residuali

La Cassazione ha, però, precisato, che le figure di reato appena analizzate non costituiscono reale tutela penale laddove le condotte risultino autonomamente punibili, come nel caso di ingiuria, diffamazione, minaccia, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona [8].


Qui, il lavoratore troverebbe tutela nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio. E così, occorrerà valutare i comportamenti, verificando se gli stessi, uniti e reiterati, possano condurre ad una fattispecie complessa del Codice penale o se, in mancanza, integrino i reati che si consumano con una sola, semplice, condotta.


Ad esempio, se il datore di lavoro minaccia sporadicamente il lavoratore di un male ingiusto, allora potrà essere perseguito per il reato di minaccia; se, invece, quella condotta è reiterata e sistematica, finalizzata ad estromettere il dipendente dall’attività lavorativa, allora potrà configurarsi il reato di violenza privata o di stalking.


Cosa fare?

La cosa migliore da fare, in questi casi, è affidarsi ad un legale, esperto in materia. Sulla base di quello che ci siamo detti, potrai tutelare la tua posizione sia in sede penale che in sede civile.


Dovrai dimostrare la lesione dei tuoi diritti e il collegamento di siffatta lesione e dei conseguenti danni ad eventi avvenuti all’interno dell’ambiente di lavoro, qualificabili, in via presuntiva, come mobbing.


Successivamente, sarà il datore di lavoro, o il collega accusato, a dover dimostrare che le singole condotte, indicate dalla vittima come parte dell’azione mobbizzante, non sono qualificabili come tali, provando la mancanza di vessatorietà e persecuzione, essendo prive del carattere di illiceità.


Se, in qualità di lavoratore, avrai ragione, allora l’autore del mobbing potrà essere condannato penalmente, In sede civile, raggiunta la prova dell’illecito, potrà essere nominato un consulente tecnico, con il fine di quantificare ilrisarcimento dei danni morali ed esistenziali patiti dal lavoratore e, così, permettere al giudice di emettere la sentenza di condanna ai danni del mobber.


 

Note

[1] Cass. pen., sez. IV, n.23923/2009 del 09.04.2009

[2] Cons. di Stato, sez. IV, n.3389/2011 del 06.06.2011

[3] Cass. pen., sez. V, n. 33624/2007 del 09.07.2007

[4] Art.572 cod. pen.

[5] Cass. pen., sez. V, n.28623/2017 del 27.04.2017

[6] Cass. pen., sez. VI, n. 37354/2008 del 17.06.2008

[7] Cass. pen., sez. VI, n. 14754/2018 del 13.02.2018

[8] Cass. pen., sez. VI, n. 45077/2015 del 29.09.2015

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