A mia moglie e a suo fratello è stato proposto, da parte dei miei suoceri, di rilevare le quote societarie di una società in accomandita semplice, con suo fratello a fare da amministratore. Come possiamo tutelarci dal rischio di essere aggrediti dai creditori in caso di malagestio della società da parte di mio cognato?
Da quanto leggo, la società in essere, che si dovrebbe “ereditare” è una società in accomandita semplice.
Come tale, all’interno della società ci sono sia soci accomandanti, che accomandatari.
La differenza, per quel che qui ci interessa, è che gli accomandatari rispondono per tutto il patrimonio personale, mentre gli accomandanti solo nei limiti della propria quota.
E infatti, l’articolo 2313 c.c., nel delineare il regime di responsabilità dei soci della società in accomandita semplice, dispone che i soci accomandanti rispondano limitatamente alla ‘quota conferita’, escludendo così la responsabilità personale di questi. Ne consegue che né i creditori sociali né i soci accomandatari possono agire contro i soci accomandanti per ottenere il pagamento dei debiti (Comm. trib. reg. Marche Ancona, sez. II, 22/02/2021, n. 195).
Pertanto, a primo acchito, Le direi che la soluzione migliore per evitare una responsabilità illimitata, che possa coinvolgere anche gli investimenti che riguardano la Sua persona, sarebbe quella di far entrare in società Sua moglie come socia accomandante, così da poter porre in salvo il proprio patrimonio personale.
Infatti, Il beneficio della limitazione della responsabilità del socio accomandante viene meno ed egli, diviene personalmente e solidalmente responsabile insieme con la società quando egli compia atti di ingerenza illegittimi nell’amministrazione della società (art. 2320 c.c.). A questi fini, sono come atti di ingerenza sia la condotta del socio accomandante che afferisca ai rapporti interni all’ente, incidendo significativamente sull’attività degli amministratori, sia quella che si riflette verso l’esterno, andando a minare l’autonomia decisionale degli accomandatari. In quest’ultimo caso, ciò che deve essere accertato è che il comportamento del socio accomandante influenzi il momento genetico della scelta dell’amministratore, le concrete modalità di esplicazione del potere gestorio, mentre scarsa rilevanza, ai fini della valutazione dell’ingerenza del socio, ha il successivo momento esecutivo, come il fatto che egli non risulti firmatario del contratto concluso secondo le sue indicazioni (Corte appello Brescia, sez. I, 02/02/2022, n. 125).
Nel momento in cui ciò non avverrà, allora la Vostra famiglia potrà dormire sonni tranquilli, posto che l’attività di amministratore, che sarà ricoperta dal fratello, quale socio accomandatario, sarà gestita in modo tale che l’eventuale mala gestio di questi possa avere effetti contro se stesso.
Con riguardo al controllo sulla gestione dell’amministrato da parte del fratello, tra gli obblighi posti in capo a questi vi è di certo la comunicazione dei bilanci ai soci accomandanti, così come previsto dall’art. 2320, comma 3, c.c. che prescinde da una richiesta avanzata dai soci, in quanto risponde al più generale dovere di diligenza nella conduzione della gestione sociale anche nei rapporti interorganici, consentendo, da un lato, l’esercizio del potere di controllo e di critica dei soci sull’operato dell’accomandatario, dall’altro, di ritenere consolidato l’esercizio, in mancanza di impugnazione (Cassazione civile, sez. I, 05/09/2022, n. 26071).
Grazie a questo obbligo, Voi avrete la possibilità di verificare l’attività societaria nel corso dell’anno e, se dovessero esserci delle anomalie, potrete interrogare gli atti e le documentazioni.
In caso di malagestio, il fratello potrà essere revocato, e pure denunciato, avendo una responsabilità contrattuale nei confronti degli altri soci, oltre che dei creditori della società amministrata.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Salvatore Cirilla
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